Già Albert Einstein era preoccupato di una eventuale scomparsa delle api e affermava che “Se un giorno le api dovessero scomparire, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”. Lo spopolamento degli alveari, come riportato da Best5, è un fenomeno ancora poco conosciuto per il quale le colonie di questi insetti, appartenenti alla specie Apis mellifera, periscono bruscamente, ed è inoltre un fenomeno che mette in crisi l’intero sistema agroalimentare. Secondo i dati della Fao, 71 delle 100 specie di colture che forniscono il 90% di prodotti alimentari si riproducono grazie agli insetti, gran parte dei quali sono api.
Solo in Europa quattromila varietà agricole sono legate all’attività delle api, una colonia delle quali può impollinare fino a 300 milioni di fiori al giorno. Nel mondo si stima che il loro “servizio di fecondazione naturale” abbia un valore economico di circa 265 miliardi di euro l’anno. Da questi dati possiamo renderci conto di quanto tale perdita potrebbe danneggiarci, comportando la brusca perdita di mele, arance, pomodori e altri 4.000 prodotti alimentari. È questa la più temibile conseguenza dello spopolamento degli alveari, in atto in tutto il mondo.
Il pericolo sembra essere rappresentato da un acaro, la Varroa destructor, poco più grande di una capocchia ma con effetti negativi molto più imponenti. La sua presenza sull’ape domestica è stata notata per la prima volta nel 1958 in Cina, con la conseguente diffusione in Europa centrale e negli Stati Uniti. In Italia c’è dal 1981 e oggi è diffuso in tutto il mondo, tranne l’Australia. Prima del suo arrivo non c’era prato senza api.
La Varroa si attacca all’ape come una zecca, succhiandone l’emolinfa, il fluido che svolge negli insetti funzioni analoghe a quelle del nostro sangue, e indebolendo il sistema immunitario: di conseguenza, batteri e funghi saranno abbastanza forti da finire il lavoro dell’acaro. Gli apicoltori non hanno ancora trovato un mezzo efficace per combattere il parassita poiché gli acaricidi lo hanno soltanto reso più resistente.
Infine, anche l’uso dei pesticidi può minare la sopravvivenza di questi utilissimi insetti: secondo due studi effettuati all’Università di Newcastle e del Trinity College di Dublino, i pesticidi più deleteri sono quelli che appartengono alla famiglia dei neonicotinoidi perché ingannano le api come la nicotina fa con il cervello umano, incentivando il consumo degli alimenti che li contengono. Una volta ingerite, queste sostanze agiscono sul sistema nervoso e si accumulano nelle colonie, contaminando anche il miele che le api usano per sfamare le larve appena nate. Gli individui che non muoiono immediatamente subiscono difetti nello sviluppo, debolezza e perdita dell’orientamento.
A questo punto, secondo i biologi la migliore soluzione potrebbe essere di creare degli insetti in grado di difendersi da soli.