Chi è paralizzato potrà comunicare col pensiero
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Notevoli miglioramenti per i portatori di paralisi facciali

Due distinti studi, pubblicati su Nature.com il 23 agosto scorso, descrivono i risultati dei lavori di altrettanti team di ricercatori circa le interfacce cervello-computer (BCI).

I segnali neurali di due persone portatrici di paralisi facciale sono stati tradotti in testi poi pronunciati da una sintesi vocale.

La frequenza raggiunta è stata nei due esperimenti rispettivamente di 62 e di 78 parole al minuto, e se si conta che una conversazione naturale il dato risponde a 160 parole al minuto, si comprende che il risultato è molto incoraggiante.

Studio Willett

Francis Willett, neuroscienziato della Stanford University (California), coautore di uno degli articoli, in una conferenza tenuta il 22 agosto, ha affermato: «Ora è possibile immaginare un futuro in cui possiamo ripristinare una conversazione fluida a qualcuno affetto da paralisi, consentendogli di dire liberamente qualunque cosa voglia dire con una precisione sufficientemente elevata da essere compresa in modo affidabile».

Willett e i suoi colleghi hanno lavorato con Pat Bennett, 67 anni, affetto da una malattia dei motoneuroni, (sclerosi laterale amiotrofica), che provoca una progressiva perdita di controllo muscolare.

Su Bennett sono stati inseriti piccoli elettrodi di silicio in parti del cervello coinvolte nel linguaggio, addestrando algoritmi di apprendimento profondo a riconoscere i segnali nel cervello di Bennett quando tentava di pronunciare varie frasi utilizzando un ampio set di vocabolario di 125.000 parole e un piccolo set di vocabolario di 50 parole. Il tasso di errore delle parole è stato del 9,1% sul campione di 50 parole, ed è salito al 23,8% su quello di 125.000 parole.

Questo margine d’errore non è preoccupante, infatti Willett ha dichiarato: «Circa tre parole su quattro vengono decifrate correttamente. Per coloro che non parlano, questo significa che possono rimanere in contatto con il mondo più vasto, magari continuare a lavorare, mantenere amici e rapporti familiari».

Studio Chang

Edward Chang, neurochirurgo dell’Università della California (San Francisco), e i suoi colleghi hanno studiato una donna di 47 anni di nome Ann, colpita da ictus al tronco cerebrale nel 2005, che ha persone nell’occasione l’uso della parola. L’approccio è stato diverso rispetto a quello utilizzato dal team di Willett.

È stato posizionando un sensore rettangolare sottilissimo provvisto di 253 elettrodi sulla superficie della corteccia cerebrale. Questa tecnica prende il nome di elettrocorticografia (ECoG), ed è considerata meno invasiva. Gli algoritmi di intelligenza artificiale sono stati in grado di riconoscere attività cerebrale che hanno consentito di pronunciare 249 frasi utilizzando un vocabolario di 1.024 parole. Il dispositivo ha prodotto 78 parole al minuto con un tasso medio di errore di parola del 25,5%, un po’ superiore alla maggior precisione del metodo Willett.

Foto tratta da https://unsplash.com/it

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Di Enrico Cannoletta

Amante della natura e della Sampdoria.

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