Esperimento sul virus che potrebbe causare anomalie alla nascita se i genitori sono infetti
Per la prima volta gli scienziati hanno deliberatamente infettato delle volontarie con il virus Zika per poter studiare la strategia vaccinale.
Il virus, infatti, può creare dei gravi anomalie a un nascituro nel caso i genitori siano infetti durante la gravidanza. Nessuna delle partecipanti è rimasta incinta durante o immediatamente dopo lo svolgimento del test. Le donne hanno accusato esclusivamente sintomi lievi, anche perché sono state esposte in ambiente controllato. Lo riferisce un articolo presentato su Nature.com.
I risultati dell’esperimento sono stati presentati il 21 ottobre scorso all’incontro annuale dell’American Society of Tropical Medicine and Hygiene a Chicago, Illinois.
L’immunologo Rafael Franca della Fondazione Oswaldo Cruz a Ribeirão Preto, in Brasile, ha sottolineato il «grande vantaggio scientifico in termini di sviluppo di un vaccino».
Il virus Zika si diffonde attraverso le punture delle zanzare e crea numerosissimi problemi neurologici.
Una situazione critica si creò nel 2016, quando nel febbraio di quell’anno l’OMS dichiarò al riguardo un’emergenza pubblica di interesse internazionale.
Furono proposte dozzine di vaccini, ma col crollo delle infezioni gli studi si sono pressoché fermati.
La specialista in malattie infettive Anna Durbin del Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, nel Maryland, e coautrice dello studio ha però manifestato la preoccupazione che la scarsa incidenza del virus arrestasse la ricerca, e nel 2022, dopo aver affrontato e superato le preoccupazioni di ordine etico, ha reclutato col suo team 28 donne sane, non incinte e non in allattamento, di età compresa tra 18 e 40 anni, che accettassero di essere ricoverate in una struttura di ricerca per la durata dell’esperimento.
La permanenza delle donne volontarie è durata dai 9 ai 16 giorni e sono state ammesse solo dopo essere state sottoposte a più test di gravidanza risultati negativi. Alle partecipanti è stato inoltre chiesto di praticare il controllo delle nascite per almeno due mesi dopo le dimissioni.
A 20 donne è stato quindi iniettato un ceppo di virus Zika, mentre alle altre 8 è stato iniettato un placebo. Tutte le 20 donne che hanno accolto il virus ne sono state infettate: nel 95% dei casi hanno sviluppato un’eruzione cutanea e il 65% ha accusato dolori articolari. Le volontarie a cui è stato iniettato un placebo non hanno denunciato alcuna reazione.
Sulla base di queste rilevazioni Anna Durbin ha dichiarato: «Con il modello di sfida, in cui si ha il 100% delle infezioni, si potrebbe ottenere un risultato di efficacia con molte meno persone».
La ricercatrice ha però parallelamente espresso la preoccupazione che allargando i campioni di ricerca potrebbero apparire anche i rari effetti neurologici collaterali che si temono, con pericolo di sindrome di Guillain-Barré e relative debolezza muscolare e in qualche caso anche paralisi.
C’è infatti da considerare che a inizio 2017 alcuni ricercatori convocati dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases e dal Walter Reed Army Institute of Research erano arrivati alla conclusione che uno studio sull’infezione umana da Zika avrebbe comportato più rischi che benefici.
Ricardo Palacios, specialista nello sviluppo di vaccini attualmente con sede a Siena, in Italia ha riferito di essere stato preoccupato dalla trasmissione sessuale del virus Zika a persone esterne agli esperimenti, e che quindi presumeva che le autorità di regolamentazione avrebbero difficilmente accettato lo studio per l’approvazione del vaccino.
Lo stesso Palacios ha ora dichiarato: «Ora sappiamo che il rischio che il virus venga trasmesso a un’altra persona attraverso i rapporti sessuali è limitato e può essere controllato».
In questo contesto Neil French, specialista in malattie infettive dell’Università di Liverpool ha evidenziato: «Le infezioni sono molto più basse rispetto all’epidemia del 2016. Tuttavia, continuano a verificarsi. La giustificazione per un vaccino rimane forte».
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