Entanglement tra scienza e pseudoscienza
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Un fenomeno scientifico che ha scatenato anche fantasie assurde

Entanglement, un nome che ricorre spesso attualmente sulle riviste di scienze, sui social e sui siti specializzati e non.

Si tratta di un fenomeno stupefacente che ha superato l’immaginazione e anche le possibilità che la scienza riteneva possibili.

Se pero poniamo la domanda a chi è fuori dai circuiti dell’informazione scientifica, sebbene molti abbiano cognizione di ciò che sia, la risposta dimostra gravi lacune informative.

Cos’è l’entanglement?

Vediamo allora in parole semplici di che cosa si tratta. Innanzitutto va specificato che siamo nel campo delle particelle subatomiche, e che, almeno a livello teorico, non è una scoperta recente.

Risale infatti al 1935, quando Erwin Schrödinger, il fisico noto anche per il famoso “paradosso del gatto”, scrisse una recensione dell’articolo sul paradosso EPR, attribuendo il nome «entanglement» (= intreccio) al fenomeno.

Si tratta della constatazione che in particolari condizioni (dette appunto di entanglement) una particella influenza lo status dell’altra, anche a distanze abissali o siderali e oltre. E l’effetto si verifica ad una velocità sensibilmente più veloce di quella della luce.

Questa «influenza» ha scatenato, come anticipato, la fantasia di molti appassionati, più o meno competenti, e sono venute fuori «strane» teorie, come la possibilità di viaggiare nel tempo o circa il teletrasporto, oppure in relazione alla comunicazione telepatica.

In realtà l’entanglement resta un effetto sul quale si può ragionare ma solo a livello teorico. Esso non permette infatti di viaggiare più veloci della luce e di fatto non viola la legge della relatività. Ci consente di constatare che se misuriamo una particella in entanglement e la troviamo in un determinato status che indicheremo con 0, sappiamo automaticamente che la sua controparte, per quanto lontanissima possa essere, sarà a status 1.

Dobbiamo però considerare che noi non possiamo sapere in che status si trova una particella senza averla prima misurata, perché il suo valore è indeterminato, e non c’è modo di influenzarlo volontariamente. A ciò si aggiunga che un’eventuale misurazione romperebbe l’entanglement stesso congelando entrambe le particelle nello status in cui si trovano al momento della misurazione.

L’argomento è stato spiegato in modo magistrale da Amedeo Balbi, professore associato di Astronomia e Astrofisica presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma Tor Vergata, nella rubrica «La finestra di Keplero» sul numero del dicembre scorso della rivista Le Scienze (edizione italiana di Scientific American).

Foto di Vincent Botta su Unsplash

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Di Enrico Cannoletta

Amante della natura e della Sampdoria.

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